Società Partecipate: il Nuovo Decreto Correttivo
A rendere necessario il nuovo decreto correttivo, si ricorderà, è la sentenza 251/2016 della Corte Costituzionale, che ha imposto appunto l’”intesa” e non il semplice “parere” di Regioni ed Enti locali quando i decreti attuativi interessano le loro competenze. Una questione di procedura che, come inevitabile, ha finito per riaprire la trattativa politica sui criteri della razionalizzazione. Due erano i temi principali oggetto di discussione:
- Il fatturato minimo che le società partecipate devono raggiungere per sfuggire agli obblighi di dismissioni
- I limiti territoriali all’azione delle società degli enti
Sul primo punto il decreto 175/2016 prevede un fatturato di almeno € 1.000.000,00/annuo. La seconda richiesta ha un risvolto sostanziale sul piano economico perché le società attive nei servizi a rilevanza economica potranno partecipare a gare anche fuori dal loro territorio di appartenenza, prospettiva che resterebbe del tutto esclusa in base alla versione attuale della riforma.
Nella Conferenza unificata si è raggiunta l’intesa:
- La prima conseguenza è la proroga per l’avvio vero e proprio del piano dei tagli. I piani di razionalizzazione andranno approvati entro il 30 settembre 2017 e avranno poi 1 anno di tempo per essere attuati con la dismissione o la chiusura delle società partecipate fuori regola, questa è l’ennesima proroga perché il decreto 175/2016 prevedeva il 23 marzo;
- La seconda conseguenza dell’intesa ha dato la possibilità alle società locali di partecipare alle gare su tutto il territorio nazionale nei “servizi di interesse economico generale a rete”. Le società in house rimangono con un 20% di attività “libera”, che però deve essere collegata a “economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società”, cioè sull’affidamento ottenuto in via diretta;
- La terza novità riguarda l’abbassamento delle soglie minime di fatturato necessarie a sopravvivere ai tagli. Il livello minimo viene abbassato a € 500.000,00 fino al 2019, mentre dal 2020 bisognerà raggiungere almeno € 1.000.000,00. Quindi le mini-aziende a rischio hanno 3 anni di tempo per crescere o aggregarsi ed evitare così la razionalizzazione, rimane l’obbligo di abbandonare le partecipate che hanno chiuso in perdita 4 degli ultimi 5 bilanci.
Il commento a questa intesa è che siamo di fronte alla ennesima frenata sulla riforma che doveva portare ad un taglio delle società partecipate: non basta un disegno riformista per riaprire il mercato dei servizi pubblici e limitare il proliferare delle società partecipate ma serve una straordinaria volontà politica di andare avanti per vincere resistenze, come quelle che frenano i decreti di attuazione della legge Madia.
Giancarlo Zeccherini
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