I cartelli pubblicitari nel centro commerciale pagano l’imposta comunale
La Corte di Cassazione con la sentenza n.6714/2017 si è espressa in merito alla legittimità degli avvisi di accertamento relativi all’imposta comunale sulla pubblicità sul presupposto che erano stati esposti diversi cartelli pubblicitari in corrispondenza dell’esercizio commerciale posto all’interno del centro commerciale all’ingrosso.
I cartelli pubblicitari esposti in corrispondenza dell’esercizio posto all’interno del centro commerciale, il cui accesso è consentito ai soli soggetti abilitati alle transazioni che si svolgono all’interno, sono assoggettati all’imposta comunale sulla pubblicità in quanto esposti in luoghi comunque considerati aperti al pubblico poiché accessibili, sia pure nel rispetto di determinate condizioni, da chiunque abbia i requisiti per accedervi.
Il fatto:
1. La società impugnava 5 avvisi di accertamento a mezzo dei quali il Comune di Casamassima, aveva richiesto il pagamento dell’Imposta Comunale sulla Pubblicità relativamente agli anni dal 2006 al 2010 sul presupposto che erano stati esposti diversi cartelli pubblicitari in corrispondenza dell’esercizio commerciale posto all’interno del centro commerciale all’ingrosso. La commissione tributaria provinciale di Bari accoglieva parzialmente il ricorso annullando gli avvisi di accertamento per gli anni 2006, 2007 e 2008. Proposto appello da parte della società ed appello incidentale da parte del comune, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Puglia accoglieva l’appello principale e rigettava l’appello incidentale. Osservava la CTR che mancava il presupposto impositivo definito dal Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 5 poiché il centro commerciale non risultava essere luogo aperto al pubblico, dato che esisteva un cancello di accesso alla struttura commerciale normalmente presidiato per il controllo di chi entrava e l’accesso era consentito ai soli soggetti abilitati alle transazioni che si svolgevano all’interno. Non vi poteva, invece, accedere il pubblico indifferenziato non interessato alle transazioni e si doveva considerare che mancavano strutture per lo svago, oltre al fatto che il centro commerciale era ubicato in zona isolata.
Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 5, comma 1, in quanto la CTR ha errato nel ritenere insussistente il presupposto dell’imposta. Ciò in quanto l’articolo 5 citato prevede che la diffusione di messaggi pubblicitari possa essere tassata se effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico e, nel caso di specie, il centro commerciale era luogo aperto al pubblico posto che all’interno di esso esistevano servizi comuni quali poste, banche, bar, ristorante, albergo e università; ciò dimostrava che tali esercizi erano utilizzati da ogni e qualsiasi avventore e non in via esclusiva dagli operatori e commercianti del centro commerciale. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 8, comma 4, ed all’articolo 2729 c.c.. Sostiene che la norma di cui all’articolo 8 citato è volta a disciplinare il termine entro il quale l’Ente impositore deve esercitare il potere impositivo nei casi di omessa presentazione della dichiarazione della pubblicità ma non esclude che, così come previsto in materia di Tarsu, siano utilizzabili le presunzioni semplici ai fini della dimostrazione che la pubblicità é stata svolta anche negli anni precedenti; e si doveva tener conto che già nel 2006 la società aveva la propria sede all’interno del centro commerciale con identico oggetto sociale.
Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è fondato. Invero è stato più volte affermato dalla Corte di legittimità il principio secondo il quale, in tema di imposta sulla pubblicità, luogo aperto al pubblico deve essere considerato quello comunque accessibile, sia pure nel rispetto di determinate condizioni, a chiunque si adegui al regolamento che disciplina l’ingresso. Ciò in quanto il presupposto impositivo deve essere individuato nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato. Ne deriva che anche lo spazio destinato a centro commerciale che, come accertato in fatto dalla CTR, era accessibile dai soli soggetti abilitati alle transazioni che si svolgevano all’interno, era da considerarsi area aperta al pubblico ai fini di che trattasi.
Il secondo motivo e’ infondato. La ricorrente sostiene che la previsione del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 8, comma 4, non preclude il ricorso alle presunzioni semplici per provare che il mezzo pubblicitario è stato utilizzato anche per gli anni precedenti a quello in cui e’ stato effettuato l’accertamento poiché la norma vale solamente a stabilire il dies a quo del termine di decadenza biennale di cui al Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 10. Sul punto la Corte di legittimità ha già affermato il principio, che questo collegio condivide, secondo cui, in tema di imposta comunale sulla pubblicità, la decadenza del Comune dall’esercizio del potere impositivo – la quale può essere rilevata solo dal contribuente, su cui grava l’onere della relativa prova – si verifica, ai sensi del Decreto Legislativo 15 novembre 1993, n. 507, articolo 10 dopo il decorso di 2 anni “dalla data in cui la dichiarazione è stata o avrebbe dovuto essere presentata”. In caso, pertanto, di omessa dichiarazione, il termine biennale di decadenza va identificato nel momento del sorgere dell’obbligo della dichiarazione, il quale nasce, ai sensi del citato Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 8 appena “prima di iniziare la pubblicità”, senza che possa essere invocato il disposto del medesimo articolo 8, comma 4 – secondo il quale, in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso “con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata”, – atteso che la decorrenza cui detta norma si riferisce attiene unicamente alla misura del tributo che l’omittente è tenuto a versare (Cass. n. 14483 del 29/09/2003). Al lume di tale principio va ritenuto che la CTR ha fatto corretta applicazione della norma di cui all’articolo 8, comma 4, citato, dovendosi considerare che il legislatore ha inteso stabilire che la misura del tributo cui è tenuto il contribuente va calcolata con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno in cui e’ stata accertata l’omessa presentazione della dichiarazione, per il che è esclusa la debenza del tributo per i periodi pregressi.
Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso deriva che l’impugnata sentenza va cassata. I cartelli pubblicitari esposti in corrispondenza dell’esercizio posto all’interno del centro commerciale, il cui accesso è consentito ai soli soggetti abilitati alle transazioni che si svolgono all’interno, sono assoggettati all’imposta comunale sulla pubblicità in quanto esposti in luoghi comunque considerati aperti al pubblico poiché accessibili, sia pure nel rispetto di determinate condizioni, da chiunque abbia i requisiti per accedervi. L’accertamento dell’imposta comunale sulla pubblicità è comunque precluso per le annualità precedenti il biennio in cui la dichiarazione è stata presentata o avrebbe dovuto esserlo.
Giancarlo Zeccherini
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