La Valutazione del Terreno può essere rivista dal Giudice

La valutazione del terreno da parte dell’Agenzia delle Entrate può essere rideterminata autonomamente dal giudice tributario se non la ritiene fondata.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.1728 pubblicata il 24.01.2018. Il fatto: l’Agenzia delle Entrate rettificava, ai fini dell’imposta di registro, il valore dichiarato nella compravendita di un terreno. Tale provvedimento veniva impugnato e la commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso mentre la commissione regionale annullava ritenendo che la determinazione dell’ufficio fosse fondata sulla comparazione di terreni diversi anche se nella stessa zona di destinazione urbanistica ma già urbanizzati.

L’agenzia delle entrate propone ricorso in cassazione alla sentenza con la quale la commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dei contribuenti, dichiarando illegittimo l’avviso impugnato, perché facente riferimento ad un maggiore valore venale della porzione edificabile del compendio immobiliare compravenduto basato sulla comparazione con atti di trasferimento concernenti, in realtà, terreni oggettivamente difformi da quello in verifica; tale difformità, in particolare, era stata appurata anche dal CTU designato in primo grado il quale aveva rilevato che gli atti assunti in comparazione riguardavano terreni diversi da quello in rettifica, perché già urbanizzati. L’Agenzia delle Entrate motivava l’appello sul fatto che la commissione tributaria regionale avrebbe dovuto comunque individuare un valore della compravendita e quindi andare ad un a rettifica.

La Cassazione ha innanzitutto rilevato: che era corretta la decisione del giudice territoriale di annullare l’avviso di accertamento opposto, per la fondamentale ragione che l’amministrazione finanziaria non era legittimata a mutare, in fase contenziosa, i presupposti della maggiore imposizione, così come indicati nell’atto impugnato non aveva provato che il terreno in questione avesse un valore venale superiore al prezzo dichiarato dai contraenti. La stessa Suprema Corte ha fornito alcuni interessanti principi: il giudizio tributario non ha natura esclusivamente impugnatoria e di legalità formale, bensì di impugnazione di merito, con la conseguenza che spetta al giudice tributario il potere ,dovere di stabilire i limiti quantitativi di fondatezza della pretesa impositiva emergenti in giudizio ed eventualmente adottare una pronuncia sostitutiva sulla sussistenza ed entità dei presupposti del rapporto tributario.

Va però considerato che quest’attività di valutazione nel merito trova fondamento e limite, nell’atto impositivo impugnato, non può il giudice tributario prendere in esame elementi diversi da quelli dedotti dall’amministrazione finanziaria, a sostegno della propria pretesa, in tale atto, nella regola generale dell’onere della prova e nei caratteri di indipendenza e terzietà che deve connotare la giurisdizione tributaria. Il giudice non può ricercare d’ufficio prove in luogo della parte che ne sarebbe onerata, e nemmeno può sostituirsi all’amministrazione nella individuazione degli elementi costitutivi del rapporto d’imposta. La Suprema Corte conferma in linea generale che “in tema di accertamento di maggiore valore, ai fini dell’imposta di registro, le Commissioni tributarie, oltre alla possibilità di confermare o annullare l’atto dell’amministrazione, in caso di errore o di difetto di prova, hanno anche il potere di ritoccare la stima operata dall’ufficio.”

Ne consegue che, ove la Commissione si sia avvalsa di tale potere, ed abbia pertanto ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sull’amministrazione, il contribuente non può dolersi del ragionamento svolto dall’amministrazione nell’avviso di accertamento ma deve sindacare l’esattezza e la congruità solo di quello dal giudice nella motivazione della sua decisione “(Cassazione 10816/02; Cassazione 18826/06). Tuttavia, questa funzione di revisione e rideterminazione del quantum dovuto non può spingersi fino al punto da sopperire all’accertata carenza di prova del credito tributario.

Nel caso di specie, la commissione tributaria regionale ha dunque fatto buon uso di tali principi, là dove ha annullato in toto l’avviso di accertamento opposto, una volta constatato che non era emersa prova alcuna di materia rettificabile da parte dell’amministrazione finanziaria; risultando il prezzo di trasferimento dichiarato in atto sostanzialmente coincidente con il valore venale attribuibile all’immobile.

Dott. Giancarlo Zeccherini

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