Gli avvisi di accertamento devono contenere la motivazione

La Commissione Tributaria del Lazio con la sentenza n. 747 /2018 afferma il principio sul fatto che la motivazione dell’avviso di accertamento debba essere contenuta all’interno dell’atto di notificato.

Si richiama in modo succinto il fatto: il contribuente impugnava gli avvisi di accertamento, notificati da parte del Comune nel 2015 mediante i quali rettificava gli anni 2009/2010 le superficie imponibili TARSU liquidando maggiori imposte, sanzioni e interessi. I motivi del ricorso eccepivano l’illegittimità dell’atto sostenendo le seguenti violazioni: difetto di motivazione, violazione dell’art. 7 / l. 212/2000 e art. 7 d. lgs. 507/93 in merito alla rettifica operata, che nessuno degli atti citati era stato portato a conoscenza del ricorrente, violazione del contraddittorio. L’ufficio ritualmente costituito in giudizio ribadiva la fondatezza del suo operato e che l’accertamento doveva ritenersi congruamente motivato ed integrava la motivazione stessa con alcuni documenti. Quindi la Commissione Tributaria Provinciale ha respinto tutte le eccezioni pregiudiziali sollevate e ha ritenuto legittimo il recupero operato dal Comune. Il contribuente appella la decisione, la Commissione Tributaria Regionale assume la decisione che la sentenza impugnata va riforata in considerazione della fondatezza delle argomentazioni esposte dal contribuente.

Le ragioni giuridiche di tale decisione sono:
per quanto attiene l’aspetto motivazionale dell’accertamento veniva osservato che l’art.7 L.212/2000 impone che gli atti notificati dall’Amministrazione Finanziaria debbano essere congruamente motivati e che in caso di motivazioni per relazione, basata sul richiamo di altri atti questi, debbano essere allegati o riprodotti nei contenuti essenziali. Sul punto viene richiamato la sentenza della Suprema Corte n.23248/2014 dove ha ribadito il principio secondo cui “la motivazione di cui all’avviso di accertamento delimita, oltre che il petitum, la ragione fondante, di fatto e di diritto, della pretesa impositiva, donde l’impossibilità di una sua sostituzione e integrazione da parte dell’Amministrazione in corso di giudizio“.

Nel caso in specie, dunque non poteva essere integrata come sostenuti dai primi giudici. Inoltre è provato in atti che il contribuente occupava l’immobile dal 1983 ed effettuava i versamenti dell’imposta basandosi sulla quantificazione operata dallo stesso Comune. Qualora il Comune avesse voluto rettificare i dati a suo tempo accertati, avrebbe dovuto osservare la procedura introdotta con l’art.1, comma 340 l.311/2004, secondo cui “per gli immobili già denunciati, i Comuni modificano d’ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superficie che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito di incrocio dei dati comunali con quelli dell’Agenzia del Territorio“.

Conclusivamente sulla base dei principi enunciati dal contribuenti, nonché sul principio della non contestazione la sentenza di primo grado va riformata ed annullati gli avvisi di accertamento.

Dott. Giancarlo Zeccherini

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