Il Regolamento Comunale dei Tributi deve evitare il gravame al contribuente
La Cassazione con la sentenza n.13120/2018 ha affermato che la tariffa di igiene ambientale, oggi sostituita dalla TARI, non è dovuta per immobili non idonei alla produzione di rifiuti, la Cassazione nel ribadire questo principio si è anche soffermata sulle prerogative dei Comuni nel disciplinare la materia con il proprio regolamento.
Il Fatto: ad un contribuente veniva notificato la cartella di pagamento della TIA relativa agli anni 2007, 2006, 2005; il contribuente ricorreva alla C.T.P. che accoglieva il ricorso ritenendo che il mancato utilizzo dell’immobile, documentalmente provato, rendeva lo stesso incapace di produrre rifiuti e quindi faceva venir meno il presupposto impositivo. Si proponeva appello su tale pronuncia alla C.T.R., la quale rigettava l’appello affermando che la sentenza appellata aveva correttamente riconosciuto che il presupposto impositivo della TIA è la disponibilità di locali idonei alla produzione dei rifiuti, presupposto che nella fattispecie risultava insussistente in quanto i locali in questione non avevano al tempo tale idoneità per assenza dei servizi essenziali e non risultavano in effetti non occupati.
Inoltre sempre secondo la sentenza impugnata, l’art. 62 del d. lgs. n. 507/93 che disciplina la TIA, prevedendo la non assoggettabilità a TIA dei locali non produttivi di rifiuti, richiede altresì che quest’ultima circostanza sia indicata nella denuncia originaria o di variazione, oltre che documentata, circostanza che nella specie era stata provata dal contribuente, il quale aveva presentato una richiesta di esclusione della tariffa nel 2005 ma non ripetuta nel 2006 non essendo cambiato relativamente alla situazione dei locali in questione. Vincolo previsto dal’art. 16 del Regolamento Comunale in materia di TIA, dove si prescrive che la richiesta di esclusione debba essere ripetuta annualmente pena decadenza dal beneficio, parrebbe eccedere, secondo la sentenza impugnata, quanto previsto dalla normativa statale in materia ed essere in contrasto con l’art. 10 dello Statuto del contribuente e pertanto andrebbe interpretato nel senso che in mancanza di tale comunicazione il contribuente possa pur sempre dimostrare, come avvenuto nel caso di specie, che la situazione precedente dichiarata continui a sussistere anche per l’anno successivo a quello cui si riferisce la pretesa impositiva.
I giudici tributari sia in primo che in secondo grado si pronunciavano a favore del contribuente. La società concessionaria del servizio rifiuti proponeva ricorso per cassazione basato su i seguenti motivi: primo motivo in relazione all’art.360 c.p.c., comma 1, n.3 denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione dell’art.62 del d. lgs. n. 507/93 in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che elemento perché un locale possa non essere assoggettato alla TIA sia solo il fatto di non essere occupato mentre la norma prevede che, a prescindere dall’occupazione o meno del locale, sussistano obiettive condizioni di non utilizzabilità dello stesso. Il motivo è infondato perché la sentenza ha dato alla norma proprio l’interpretazione suggerita dal contribuente, nell’affermare che i locali in questione non avevano al tempo l’idoneità alla produzione dei rifiuti per assenza dei servizi essenziali. Secondo motivo d’impugnazione ai sensi dell’art.360 c.p.c. comma 1, n. 3, un vizio di violazione e falsa applicazione degli art. 62 e 70 del d. lgs. n. 507/93 in quanto si prevede la necessità di una denuncia annuale dell’insussistenza dei presupposti impositivi per la TIA, mentre la sentenza ha ritenuto sufficiente un obbligo iniziale; il motivo è infondato perché la sentenza ha dato alla norma una interpretazione condivisibile e ragionevole, nonché conforme alla ratio della norma. Infatti la norma all’art. 62, comma 2 del d. lgs. n. 507/93 parla di denuncia originaria o di “variazione” e non di denuncia annuale e non necessariamente ogni anno. Il terzo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n.3, un vizio di violazione e falsa applicazione degli art. 62 e 70 del d. lgs. n. 507/93 in combinato disposto con gli art. 23, 114, 117 e 119 Cost. in quanto la sentenza impugnata realizzerebbe una illegittima compressione dell’ambito di autonomia riservato alle autonomie locali; il motivo è infondato perché l’interpretazione fornita dalla sentenza non lede le prerogative delle autonomie locali, ma il Comune non può pretendere di dettare regole che non rispondono a reali esigenze impositive e che quindi, oltre ad andare contro i principi dettati dallo Statuto del contribuente, non rispondono neppure a criteri di ragionevolezza. Con il quarto motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione degli art. 14 e 15 del regolamento Comunale, in quanto tali norme prevedono che la dichiarazione di variazione in diminuzione sarebbe idonea a spiegare la propria efficacia solo dal giorno della sua comunicazione all’Ente gestore; il motivo è infondato in quanto, come già affermato, l’interpretazione della complessiva normativa effettuata dalla sentenza costituisce un ragionevole punto di equilibrio tra esigenze impositive dell’ente locale e la salvaguardia del principio di correttezza, solidarietà e effettiva capacità contributiva, che impone di evitare di gravare il contribuente di adempimenti e preclusioni non strettamente funzionali alla corretta riscossione delle imposte.
In conclusione questa sentenza riconferma il principio che la tariffa di igiene ambientale, oggi sostituita dalla TARI, non è dovuta per immobili non idonei alla produzione di rifiuti. Inoltre avverte i Comuni che nei propri regolamenti devono evitare di gravare il contribuente di adempimenti e preclusioni non strettamente funzionali alla corretta riscossione delle imposte, oltre che non previste dalla disciplina statale, come nel caso di specie, in quanto fonte sovraordinata rispetto ai regolamenti comunali.
Giancarlo Zeccherini
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